ll governo thailandese ha annunciato l’avvio di un progetto di portata inedita nel panorama asiatico, volto a integrare l’uso delle criptovalute nel settore turistico attraverso un sandbox regolamentare dedicato. Denominato TouristDigiPay, il programma consentirà ai visitatori stranieri di convertire i propri asset digitali in baht thailandesi e di utilizzarli per effettuare pagamenti elettronici all’interno del Paese. Non si tratta, tuttavia, di una legalizzazione diretta delle criptovalute come mezzo di scambio, bensì di un meccanismo controllato che garantisce ai commercianti l’incasso in valuta nazionale e, al contempo, assicura alle autorità di vigilanza un presidio stringente sugli obblighi di Know Your Customer (KYC) e di Customer Due Diligence (CDD).
Il progetto, annunciato dalla Securities and Exchange Commission (SEC) thailandese il 18 agosto, avrà una durata di 18 mesi a partire dal quarto trimestre del 2025. È frutto di una collaborazione interministeriale che coinvolge il Ministero delle Finanze, l’Anti-Money Laundering Office (AMLO), il Ministero del Turismo e dello Sport, oltre alla Banca di Thailandia per quanto concerne l’integrazione con il sistema e-money già regolamentato. Secondo le parole del Segretario generale della SEC, Pornanong Budsaratragoon, l’iniziativa si innesta su un ecosistema normativo già esistente, volto a collegare l’infrastruttura di scambio di asset digitali con i circuiti di pagamento elettronico, e introduce «adeguate misure di gestione del rischio» per proteggere sia i turisti sia gli esercenti.
La genesi del progetto non è casuale, ma risponde a una dinamica di contrazione del flusso turistico, soprattutto proveniente dall’Asia orientale. Secondo i dati del World Tourism Institute, nel primo semestre del 2025 la Thailandia ha accolto circa 16,8 milioni di visitatori, contro i 17,7 milioni registrati nello stesso periodo del 2024. Il dato più rilevante riguarda il crollo della componente cinese, con un calo del 34% dei turisti dalla Repubblica Popolare, storicamente il bacino principale dell’industria turistica thailandese. Il calo complessivo del 5% nei primi sei mesi dell’anno, con un -24% dai Paesi dell’Est asiatico, è stato letto dagli analisti come il segnale più evidente della necessità di riposizionamento competitivo del Paese.
La pressione non deriva unicamente da fattori contingenti (restrizioni di viaggio, rallentamento dell’economia cinese, tensioni geopolitiche), ma anche da variabili di mercato: il Giappone, grazie al crollo dello yen, offre oggi un’esperienza turistica a prezzi più contenuti, mentre il Vietnam si propone come alternativa emergente con un rapporto qualità-prezzo particolarmente favorevole. In tale scenario, la Thailandia si trova costretta a diversificare le proprie leve di attrazione: non più solo spiagge, wellness e patrimonio culturale, ma anche innovazione digitale, infrastrutture tecnologiche e servizi di pagamento avanzati.
La struttura del sandbox prevede che i turisti possano convertire i propri asset digitali in baht attraverso piattaforme regolamentate, per poi spenderli tramite fornitori di servizi di moneta elettronica. Ai commercianti arriveranno sempre pagamenti in valuta locale, in modo da ridurre il rischio di volatilità e da non alterare l’equilibrio del sistema dei prezzi. Non sarà consentito l’uso diretto di criptovalute come mezzo di pagamento per beni e servizi: ciò evita di creare una dualità monetaria che potrebbe destabilizzare il mercato interno.
Il modello integra dunque tre livelli di garanzia:
- Controllo normativo: gli operatori di asset digitali saranno soggetti a licenze della SEC e al rispetto degli standard KYC/AML imposti dall’AMLO.
- Stabilità del commercio: i commercianti riceveranno esclusivamente baht, senza esposizione alla volatilità delle criptovalute.
- Limiti prudenziali: sono previste soglie di spesa mensili e il divieto di prelievi in contanti, in modo da scoraggiare l’uso speculativo o l’arbitraggio di liquidità.
Si tratta dunque di un compromesso tra apertura all’innovazione e rigore regolatorio, coerente con l’approccio thailandese degli ultimi anni, orientato a stimolare la competitività senza cedere al rischio di instabilità finanziaria.
Il valore reale dell’iniziativa va oltre la mera sperimentazione tecnologica: il TouristDigiPay rappresenta un potente strumento di branding nazionale. Inserire la Thailandia tra le prime destinazioni al mondo a permettere ai turisti di utilizzare asset digitali per le spese quotidiane significa intercettare un segmento di viaggiatori globali — digital nomads, early adopters, investitori e operatori del settore crypto — che scelgono le proprie mete anche sulla base dell’ecosistema normativo e digitale disponibile.
L’iniziativa si colloca in continuità con progetti precedenti: già a gennaio 2025 era stato annunciato un trial a Phuket per consentire ai turisti di pagare in criptovalute, ancora in fase di definizione. In maggio, il vicepremier e ministro delle Finanze Pichai Chunhavajira aveva anticipato il progetto durante un seminario sugli investimenti a Bangkok, lasciando intendere che l’orientamento del governo era ormai consolidato.
Il passo attuale è però più ambizioso: un vero sandbox nazionale, supervisionato dalle autorità finanziarie e di vigilanza, capace di fungere da modello replicabile su scala regionale. In un contesto asiatico in cui Singapore ha scelto la via di una regolamentazione prudente ma aperta, e in cui Hong Kong sta tentando di riaffermarsi come hub fintech, la Thailandia propone una via originale: usare la leva turistica come acceleratore della digitalizzazione finanziaria.
La criticità principale riguarda la gestione del rischio di riciclaggio e di finanziamento illecito, tema sensibile in un Paese che ha già dovuto affrontare osservazioni internazionali sulla trasparenza dei flussi finanziari. L’integrazione del sistema con controlli AML e KYC rigorosi è dunque condizione essenziale per la sua legittimità internazionale. Tuttavia, resta aperta la questione di come le autorità riusciranno a monitorare in tempo reale milioni di microtransazioni turistiche senza rallentare l’esperienza d’uso.
Altrettanto cruciale è il tema dell’adozione reale: quanti turisti saranno disposti a utilizzare crypto-wallet regolamentati per transazioni quotidiane? E quanti preferiranno affidarsi a sistemi consolidati come le carte di credito internazionali, già largamente accettate? L’esperimento dovrà quindi dimostrare non solo la fattibilità tecnica, ma anche la convenienza percepita dagli utenti.
Dall’altro lato, i benefici potenziali sono significativi. L’iniziativa potrebbe:
- Ridurre i costi di conversione valutaria per i turisti.
- Offrire un canale sicuro per i viaggiatori provenienti da Paesi con restrizioni valutarie.
- Rafforzare l’immagine della Thailandia come hub regionale di innovazione fintech.
- Creare un precedente utile per altre economie emergenti, che osservano con interesse i risultati del sandbox.
La scelta della Thailandia non si colloca in un vuoto geopolitico. L’Asia sud-orientale è oggi teatro di una competizione crescente tra modelli di integrazione fintech: Singapore e Hong Kong cercano di attrarre capitali internazionali, Vietnamsi propone come polo manifatturiero low cost ma anche come laboratorio digitale, mentre la Cina continua a spingere sul renminbi digitale attraverso progetti pilota transfrontalieri. La Thailandia, priva di una forza economica comparabile, individua nella leva turistica il proprio asset strategico: un settore che vale circa il 20% del PIL e che necessita di strumenti innovativi per resistere a shock esterni e alla concorrenza regionale.
Il TouristDigiPay non è soltanto un esperimento tecnico, ma un vero test di politica economica: verificare se l’integrazione delle criptovalute in un contesto turistico possa tradursi in un vantaggio competitivo concreto, senza compromettere la stabilità finanziaria né aprire varchi ai rischi di compliance.
Se l’iniziativa avrà successo, la Thailandia potrà presentarsi come apripista di un modello ibrido, in cui le criptovalute non sostituiscono le valute legali ma vengono incanalate in circuiti regolamentati e resi funzionali a obiettivi macroeconomici specifici. In caso contrario, il progetto resterà un esperimento effimero, utile solo a sottolineare la difficoltà di bilanciare apertura all’innovazione e rigore regolatorio.
In entrambi i casi, il messaggio politico è chiaro: la Thailandia non intende restare ai margini della trasformazione digitale globale, e vuole giocare la propria partita utilizzando l’arma che meglio conosce, il turismo, come campo di sperimentazione e come vetrina internazionale.