Il 9 aprile 2025, con 52 voti favorevoli e 44 contrari, il Senato degli Stati Uniti ha confermato la nomina di Paul S. Atkins a presidente della Securities and Exchange Commission, ratificando così la volontà dell’amministrazione Trump di affidare la guida dell’organo regolatore dei mercati finanziari a una figura già nota per il suo orientamento pro-mercato e il suo passato da commissario tra il 2002 e il 2008. Tale nomina non costituisce soltanto un semplice avvicendamento istituzionale, ma si configura piuttosto come l’indizio di una mutazione più profonda nella grammatica normativa del capitalismo americano.
La scelta di reintegrare Atkins in un momento in cui le borse oscillano tra euforia e incertezza, mentre le tensioni geopolitiche e la riconfigurazione degli equilibri economici globali impongono nuove forme di vigilanza finanziaria, rivela un disegno coerente con l’idea di rilancio dell’economia fondata su un paradigma di deregulation selettiva e di espansione del capitale privato nei settori tecnologici a più alta redditività.
Atkins non è figura estranea agli ambienti di Wall Street, né tantomeno all’universo delle criptovalute. La sua nomina – fortemente sostenuta dalla destra senatoria e da ambienti finanziari pro-innovazione – avviene infatti in concomitanza con la ristrutturazione interna della SEC, accelerata dalle politiche di contenimento della spesa e riduzione dell’apparato burocratico promosse dal Dipartimento per l’Efficienza Governativa (DOGE), struttura voluta e diretta da Elon Musk, il cui crescente peso all’interno dell’amministrazione Trump segnala una sempre più marcata simbiosi tra potere esecutivo e grande imprenditoria tecnologica. Atkins si è dichiarato disponibile a collaborare con il DOGE per assicurare che le risorse pubbliche siano impiegate con rigore e che l’azione regolatoria non venga ostacolata da inefficienze strutturali. Tale disponibilità, tuttavia, più che testimoniare una visione tecnocratica del buon governo, sembra riflettere una visione ideologica dell’efficienza come precondizione per lo smantellamento di vincoli normativi considerati superflui o, peggio, ostili alla libera iniziativa.
La portata simbolica e operativa di questo cambio di direzione emerge con chiarezza nelle dichiarazioni rilasciate da Atkins durante le audizioni al Senato: in esse, l’allora candidato e oggi presidente della SEC ha posto in cima alla propria agenda il tema della regolamentazione degli asset digitali, auspicando la creazione di un quadro normativo “razionale, coerente e fondato su principi chiari” per le criptovalute e le innovazioni finanziarie emergenti. Un’affermazione che, se da un lato suggerisce l’intento di ridurre la confusione giuridica che oggi grava sul settore – e che scoraggia investimenti di lungo termine da parte di operatori istituzionali – dall’altro implica il superamento di un modello di supervisione prudenziale incentrato sul controllo preventivo, a favore di un sistema che, almeno nella retorica, si fida maggiormente dell’autoregolazione e della trasparenza tecnologicamente mediata.
In questo senso, l’arrivo di Atkins alla guida della SEC non prelude semplicemente a un atteggiamento “più favorevole” nei confronti delle criptovalute, come pure è stato detto in maniera generica, ma potrebbe concretamente condurre a un insieme di interventi che includano, ad esempio, una ridefinizione delle soglie di compliance per le offerte iniziali di token (ICO), l’esclusione di determinate categorie di asset digitali dalla nozione tradizionale di “titolo” soggetto a registrazione, oppure l’introduzione di sandbox regolatori per start-up blockchain in grado di operare, almeno in via sperimentale, al di fuori del perimetro normativo ordinario. In parallelo, è plausibile ipotizzare un allentamento dei criteri di reporting per le imprese attive nel settore fintech, con conseguente riallocazione delle risorse della SEC verso attività più selettive di enforcement, eventualmente basate su meccanismi automatizzati di sorveglianza algoritmica.
Tali prospettive si inseriscono in una più ampia trasformazione della postura strategica degli Stati Uniti nei confronti della competizione globale per la leadership tecnologico-finanziaria. L’adozione di un framework regolatorio più permissivo nei confronti degli asset digitali potrebbe infatti essere letta come risposta alle politiche industriali aggressive messe in campo da altre giurisdizioni – in primis Singapore, gli Emirati e in misura crescente anche la Cina – che stanno attirando capitali e talenti attraverso regimi normativi flessibili, fiscalità agevolata e sistemi di licenza più agili. In quest’ottica, Atkins non si presenta tanto come un burocrate incaricato di sorvegliare l’ordine dei mercati, quanto come un promotore di competitività sistemica, incaricato di rimuovere gli ostacoli normativi che impediscono agli Stati Uniti di riaffermare la propria centralità nella nuova economia decentralizzata.
Tuttavia, questa strategia comporta rischi significativi. Le critiche mosse dalla senatrice Elizabeth Warren, che ha ricordato la responsabilità passata di Atkins nel sostenere politiche di deregolamentazione alla vigilia della crisi finanziaria del 2008, non possono essere liquidate come polemiche ideologiche. La tensione tra innovazione e protezione degli investitori, tra semplificazione normativa e controllo sistemico, resta strutturale, e il tentativo di risolverla univocamente a favore del mercato espone il sistema finanziario a nuovi shock asimmetrici. In un contesto in cui la trasparenza promessa dagli strumenti digitali non sempre corrisponde a una reale intelligibilità dei rischi – si pensi alla proliferazione incontrollata di prodotti derivati decentralizzati (DeFi) o agli NFT finanziarizzati – la regolazione resta, se non una garanzia, almeno una necessità.
La presidenza Atkins, dunque, si preannuncia come un banco di prova per l’intero paradigma regolatorio statunitense: se saprà coniugare apertura all’innovazione e solidità istituzionale, potrà segnare l’inizio di una nuova era per la finanza americana, più dinamica e attrattiva; se invece si limiterà a smantellare vincoli senza sostituirli con strumenti adeguati di comprensione e controllo del rischio, potrebbe costituire l’anticamera di una nuova fase di vulnerabilità sistemica.
In entrambi i casi, le implicazioni superano di gran lunga i confini della SEC: ciò che è in gioco è la definizione stessa di autorità nel capitalismo digitale del XXI secolo.