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ORO E CRYPTO: TETHER SCOMMETTE SU ELEMENTAL ALTUS

ORO E CRYPTO: TETHER SCOMMETTE SU ELEMENTAL ALTUS

In data 10 giugno 2025, Tether — entità centrale nel sistema delle stablecoin — ha annunciato l’acquisizione del 31,9% di Elemental Altus Royalties, compagnia canadese specializzata in flussi di cassa derivanti da attività estrattive. Il valore dell’operazione, formalizzata tramite l’acquisto di oltre 78 milioni di azioni a 1,55 dollari canadesi per unità, si aggira intorno ai 90 milioni di dollari statunitensi, con la possibilità di estendersi al 47,7% del capitale entro la fine di ottobre. Tuttavia, è nel significato sistemico di tale scelta — e non nel suo valore contabile — che si gioca la posta alta di un’operazione destinata a ridefinire il rapporto tra infrastruttura cripto e asset tangibili.

Elemental Altus, nata dalla fusione di due società specializzate in royalties su miniere aurifere, opera secondo un modello industriale peculiare: non possiede miniere né le gestisce direttamente, ma detiene il diritto a ricevere una percentuale sui proventi derivanti dalla produzione. Questo approccio, già diffuso fra gli hedge fund statunitensi, consente di mitigare l’esposizione operativa mantenendo un aggancio diretto al valore generato dal sottostante. In questo contesto, la mossa di Tether — solitamente identificata come entità crypto-native — assume i tratti di una riarticolazione strategica del proprio portafoglio patrimoniale, capace di saldare in una nuova sintesi i tre vettori ormai dominanti: oro, Bitcoin, e tokenizzazione.

Non è la prima volta che Tether si muove in questa direzione. Già nel 2023 la società aveva annunciato l’inclusione di lingotti fisici nel paniere di garanzie per la stablecoin XAUT, mentre nel 2024 aveva iniziato a diversificare parte delle riserve in strumenti a reddito fisso tokenizzati, puntando su titoli di Stato americani emessi attraverso architetture blockchain compatibili con Ethereum. L’operazione con Elemental Altus, però, segna una discontinuità: si tratta della prima partecipazione diretta in una società quotata di estrazione non crypto, con diritto di voto e potenziale accesso agli organi decisionali, in un contesto — quello delle royalties — tradizionalmente riservato a investitori istituzionalicon orizzonte pluriennale.

Se si osserva la traiettoria dell’operazione in termini simbolici, essa incarna una tensione di fondo che percorre oggi l’intero settore: la progressiva ibridazione tra asset permissionless e logiche industriali centralizzate. Tether non si limita più a garantire la convertibilità paritaria del proprio token tramite riserve passive, ma inizia a costruire — mattone dopo mattone — un’infrastruttura patrimoniale capace di sostenere il valore della stablecoin non solo attraverso l’inerzia delle garanzie, ma tramite l’attivismo finanziario. In altri termini: si passa dalla custodia alla produzione di rendimento, dalla trasparenza notarile alla strategia allocativa.

Il modello delle royalties si presta particolarmente a questa transizione. Diversamente dalle miniere, che comportano esposizione ai rischi geologici, sociali e ambientali, le royalties rappresentano una forma di cash flow relativamente stabile, difficilmente replicabile, e tipicamente indicizzata al prezzo dell’oro. Il fatto che Elemental Altus disponga di oltre cinquanta accordi in essere in America Latina, Australia e Africa, consente inoltre una diversificazione geografica non banale. Secondo gli ultimi report finanziari, il rendimento aggregato annualizzato del portafoglio si attesta tra il 6% e il 9%, con proiezioni conservative su un EBITDA stabile. È lecito dunque ipotizzare che Tether punti, nel medio termine, a utilizzare i dividendi generati come backstop operativo o come margine di manovra per ulteriori operazioni sul token XAUT.

Tuttavia, l’operazione solleva anche interrogativi rilevanti, tanto sul piano della governance quanto su quello della legittimità epistemica. Se da un lato Tether si accredita come architetto di un ecosistema finanziario ancorato alla realtà materiale — secondo una logica di “Bitcoin più oro” che riecheggia le tesi di Saifedean Ammous e della scuola austriaca — dall’altro il suo crescente attivismo industriale potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio. La concentrazione di asset strategici in mani opache, la difficoltà di audit indipendenti e la storica resistenza di Tether a pubblicare rendiconti completi potrebbero minare la credibilità di una struttura che si presenta come alternativa, ma che rischia di replicare modelli proprietari tipici della finanza novecentesca, solo trasposti su nuova tecnologia.

In questo quadro, l’interesse di Tether per asset fisici e rendimenti tangibili va letto non solo come reazione difensiva al crescente controllo regolatorio — dai circuiti del MiCA europeo alle proposte statunitensi di stablecoin act — ma come tentativo di rifondare l’identità stessa dell’emittente, da soggetto reattivo a soggetto costituente. Elemental Altus, in questa prospettiva, non è soltanto un investimento: è un nodo semantico, un ponte tra ontologie finanziarie distinte, una scommessa sulla possibilità di costruire un equilibrio durevole fra trasparenza algoritmica e realtà estrattiva.

Se l’operazione produrrà una nuova forma di coerenza tra riserva digitale e risorsa reale, allora la traiettoria di Tether si collocherà in una zona di frontiera, dove le categorie tradizionali — centralizzato/decentralizzatoasset-backed/fiat-basedcrypto/native — perderanno significato. In caso contrario, l’intervento in Elemental Altus sarà ricordato come l’ennesimo cortocircuito tra vocazione disintermediata e pulsione di controllo, sintomo di un’industria che cerca solidità senza ancora sapere in cosa consista davvero.