Regolamentazione

MEF SULLE CRYPTO: ANCHE L’ACQUISTO DI BENI GENERA PLUSVALENZA

MEF SULLE CRYPTO: ANCHE L’ACQUISTO DI BENI GENERA PLUSVALENZA

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) ha recentemente fornito risposta all’interrogazione parlamentare n. 5-03772, concernente l’inquadramento fiscale applicabile all’acquisto di beni e servizi mediante l’impiego di criptovalute, chiarendo in maniera esplicita l’orientamento dell’Amministrazione finanziaria italiana in merito alla natura reddituale di tali operazioni. La questione, sollevata in sede parlamentare da un gruppo di deputati, si inserisce nel processo di sistematizzazione normativa del trattamento tributario delle cripto-attività, accelerato negli ultimi anni dalla crescente rilevanza economica di tali strumenti e dalle innovazioni introdotte, in maniera progressiva, dalle leggi di bilancio degli esercizi più recenti.

Al centro del dibattito, vi è l’applicazione dell’articolo 67, comma 1, lettera c-sexies del TUIR (D.P.R. 917/1986), norma introdotta con l’obiettivo di ricondurre a imposizione le plusvalenze e gli altri proventi derivanti, in qualunque forma, da operazioni relative alla detenzione, permuta, cessione a titolo oneroso o rimborso di cripto-attività, comunque denominate.

L’intento del legislatore, come espresso chiaramente nella relazione illustrativa alla Legge n. 207/2024 (legge di bilancio per il 2025), è quello di uniformare il trattamento fiscale di queste operazioni a quello già vigente per gli altri strumenti patrimoniali suscettibili di generare incremento di valore. Il quadro è completato dal successivo art. 68, comma 9-bis, il quale definisce le modalità di determinazione della plusvalenza imponibile, individuandola nella differenza tra il corrispettivo percepito (o, in sua assenza, il valore normale dell’oggetto della cessione) e il costo o valore di acquisto della cripto-attività oggetto della transazione.

Elemento non marginale, e degno di nota nel sistema delineato dal legislatore, è la previsione di un’unica ipotesi di irrilevanza fiscale, rappresentata dalla permuta tra cripto-attività aventi analoghe caratteristiche e funzioni, la quale viene espressamente esclusa dall’ambito di applicazione dell’imposizione, in quanto non costitutiva, secondo la ratio normativa, di una realizzazione effettiva di valore.

Alla luce di tali disposizioni, gli interroganti hanno sollevato un quesito interpretativo di notevole importanza applicativa: ovvero se l’utilizzo di cripto-attività come mezzo di pagamento – in assenza di un’esplicita cessione a titolo oneroso finalizzata al realizzo di una plusvalenza – possa essere considerato fiscalmente irrilevante, in analogia con quanto avviene nelle ordinarie transazioni in valuta fiat. A supporto di tale ipotesi, è stata richiamata la nota sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 22 ottobre 2015, causa C-264/14 (cd. “sentenza Hedqvist”), che riconosce alle criptovalute una funzione assimilabile a quella di mezzo di pagamento, nonché la Risoluzione n. 72/E del 2016 e la Circolare n. 30/E del 2023 dell’Agenzia delle Entrate, che avevano, in contesti normativi differenti, recepito parzialmente l’indirizzo comunitario.

La risposta fornita dal MEF, redatta previo coinvolgimento degli uffici tecnici dell’Amministrazione finanziaria, chiarisce in maniera inequivocabile che, anche nell’ipotesi di acquisto di beni o servizi, l’impiego di cripto-attività è fiscalmente inquadrabile come una cessione a titolo oneroso, suscettibile di generare una plusvalenza imponibile ai fini IRPEF. Tale interpretazione discende direttamente dalla struttura della norma primaria, secondo la quale ogni alienazione volontaria che comporti la sostituzione patrimoniale della cripto-attività con altro bene, servizio o controprestazione economicamente valutabile deve considerarsi, a tutti gli effetti, un momento di realizzo.

Per rendere più chiaro il principio, si consideri un esempio pratico: un contribuente acquista nel 2023 una certa quantità di Bitcoin per un controvalore di 5.000 euro; nel 2025, utilizza parte di tali Bitcoin per acquistare uno smartphone del valore di mercato pari a 1.200 euro. Se, al momento della transazione, i Bitcoin utilizzati hanno un valore di carico (ovvero il costo di acquisto proporzionato alla quantità impiegata) pari a 800 euro, la differenza tra il valore del bene acquistato (1.200 euro) e il valore d’acquisto originario (800 euro) – pari a 400 euro – costituirà una plusvalenza fiscalmente imponibile, da dichiarare secondo le modalità previste per i redditi diversi.

Tale impostazione conferma la volontà del legislatore italiano di assimilare le operazioni in criptovaluta, indipendentemente dalla loro finalità soggettiva o natura giuridica, a eventi economicamente rilevanti sotto il profilo fiscale, nella misura in cui comportino un incremento patrimoniale effettivo per il contribuente. L’unica eccezione ammessa – quella, appunto, della permuta tra asset digitali omogenei – assume così un carattere di stretta interpretazione, a presidio dell’efficacia esecutiva della norma impositiva.

Nel comunicato, il MEF ha inoltre anticipato che è attualmente in corso di predisposizione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, un documento di prassi esplicativo che fornirà chiarimenti operativi in merito all’applicazione del regime fiscale delle cripto-attività, alla luce delle modifiche introdotte dall’art. 1, commi 23–29 della L. 207/2024. Tale documento, pur non ancora pubblicato, è atteso con interesse da contribuenti, operatori del settore e professionisti, poiché chiamato a sciogliere numerosi dubbi interpretativi che ostacolano tuttora la piena applicabilità delle nuove regole, specie in ambito di pagamenti, permute, staking e decentralizzazione dei flussi finanziari.

In un contesto in cui le cripto-attività assumono ruoli sempre più diversificati e polivalenti – da strumenti di investimento a mezzi di scambio, da riserve digitali a piattaforme di smart contract – l’orientamento espresso dal MEF conferma la tendenza dell’ordinamento fiscale italiano ad affrontare il fenomeno con lenti tradizionali, privilegiando un principio di equivalenza funzionale: ciò che produce valore economicamente quantificabile è, a prescindere dalla sua forma, potenzialmente imponibile. Resta ora da valutare se, e in che misura, questa impostazione sarà oggetto di evoluzione – o frizione – alla luce del diritto comunitario, degli sviluppi regolatori internazionali e delle prassi degli altri Stati membri, molti dei quali si stanno muovendo verso approcci più specifici e meno omnicomprensivi.

La risposta del MEF, se da un lato fornisce chiarezza giuridica, dall’altro rilancia il dibattito sull’equilibrio tra esigenze di gettito e neutralità tecnologica, tra semplificazione amministrativa e coerenza sistematica. Un dibattito che, a giudicare dalla complessità dell’evoluzione normativa in corso, è destinato ad ampliarsi nei prossimi mesi, man mano che le cripto-attività si affermeranno come strumento non solo di scambio o investimento, ma anche di relazione fiscale strutturata tra cittadino e Stato.