Nel quadro sempre più competitivo delle architetture per i pagamenti transfrontalieri, il nodo non è più semplicemente dove avvenga la messaggistica finanziaria, bensì chi controlli il flusso reale della liquidità. È questa, in estrema sintesi, la tesi espressa da Brad Garlinghouse, CEO di Ripple, durante l’evento XRP APEX 2025 tenutosi a Singapore, dove ha delineato una visione che — al netto di un certo ottimismo programmatico — chiama in causa le fondamenta stesse del sistema SWIFT.
Garlinghouse, con una dichiarazione che ha già cominciato a circolare nei principali circuiti finanziari, ha ipotizzato che XRP possa arrivare a intercettare fino al 14% dei volumi movimentati attraverso SWIFT nell’arco dei prossimi cinque anni. Una cifra che, pur priva di fondamento empirico immediato, rivela un cambio di paradigma nell’approccio competitivo: non più solo interoperabilità di messaggi tra banche, ma disintermediazione dell’intera filiera della liquidità.
Nel sistema SWIFT tradizionale, infatti, la funzione si limita a inviare istruzioni di pagamento tra istituti: le informazioni viaggiano, il denaro no. Il trasferimento effettivo, spesso affidato a reti di banche corrispondenti, comporta tempi dilatati, costi cumulativi e rischi sistemici legati all’illiquidità locale. Ripple propone un modello alternativo, dove la messaggistica finanziaria e la movimentazione del valore sono integrate in un’unica infrastruttura basata su tecnologia blockchain.
XRP funge da valuta-ponte, consentendo conversioni quasi istantanee tra valute differenti e riducendo drasticamente la necessità per gli istituti di detenere riserve in valuta estera — un fardello oneroso sotto il profilo regolamentare e contabile. È questa la leva strategica su cui Ripple intende innestare la propria crescita: non tanto sostituire SWIFT come layer comunicativo, quanto scalzare il sistema bancario nella sua funzione di “distributore di liquidità globale”, prerogativa che storicamente ha garantito ai grandi attori bancari la rendita di posizione nel sistema internazionale dei pagamenti.
Il cuore dell’argomentazione di Garlinghouse è appunto qui: “There are two parts to SWIFT today: messaging and liquidity,” ha dichiarato. “Liquidity is owned by the banks. I think less about the messaging and more about liquidity.” In altre parole, il vero vantaggio competitivo di Ripple — e per estensione di XRP — non risiede nell’essere un sistema più rapido di comunicazione, bensì nell’offrire una nuova grammatica della convertibilità interbancaria. Una grammatica dove l’asset digitale non è solo un vettore di valore, ma un elemento strutturale della compensazione cross-border.
Naturalmente, la prospettiva di un XRP in grado di coprire oltre un decimo dell’infrastruttura SWIFT nel giro di un quinquennio resta subordinata a fattori normativi, resistenze sistemiche e adozione istituzionale. Ma la scommessa di Ripple non si gioca sull’oggi: si gioca sulla possibilità che il futuro della liquidità non sia più proprietà delle banche, ma del protocollo.
Per comprendere la portata (e i limiti) dell’ipotesi formulata da Garlinghouse, è necessario ricollocare il confronto tra Ripple e SWIFT sul piano strutturale. La Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication (SWIFT), fondata nel 1973, è oggi utilizzata da oltre 11.000 istituzioni finanziarie in più di 200 Paesi, processando quotidianamente milioni di messaggi. Tuttavia, il sistema non ha mai incluso il trasferimento diretto di fondi, demandando tale compito a una rete di conti corrispondenti bilaterali. Questo implica che, in assenza di una relazione preesistente, la transazione passa attraverso più banche-ponte, ognuna delle quali introduce ritardi, costi di cambio e rischi operativi.
Secondo uno studio del Bank for International Settlements, il costo medio di un pagamento transfrontaliero per il cliente finale si attesta tra il 5% e il 7% dell’importo trasferito, con tempi medi di esecuzione superiori alle 48 orenei corridoi più periferici. In tale contesto, Ripple ha cercato di offrire una soluzione che elimina la dipendenza dalla liquidità prefinanziata: attraverso RippleNet e l’utilizzo di XRP come asset-ponte, il modello consente l’esecuzione near-instantanea delle transazioni tra valute differenti, anche in assenza di conti in valuta estera presso le banche corrispondenti.
Il vantaggio teorico è duplice: da un lato, riduzione dei costi infrastrutturali (mantenere meno liquidità immobilizzata); dall’altro, drastico abbattimento dei tempi di regolamento (settlement), con effetto positivo sulla certezza e tracciabilità del pagamento. Tuttavia, restano rilevanti ostacoli all’adozione sistemica. In primo luogo, la volatilità intrinseca del mercato cripto, che richiede l’impiego di sistemi di hedging o di regolamento istantaneo per evitare oscillazioni di valore durante la transazione. In secondo luogo, la regolamentazione ancora frammentaria: se è vero che MiCAR in Europa sta cominciando a fornire un quadro normativo definito per gli asset digitali, non esiste ancora una governance standardizzata globale per i pagamenti on-chain che impieghino token non stabili.
Va inoltre sottolineato che, al netto dell’enfasi strategica sul ruolo di XRP, RippleNet può operare anche senza la criptovaluta nativa, utilizzando infrastrutture di messaggistica e regolamento alternative. Questo dato suggerisce che la retorica dell’“XRP come futuro standard” resta ancora una prospettiva e non una necessità tecnologica.
Tuttavia, in un mondo in cui i flussi finanziari diventano sempre più frammentati, on-demand e programmabili, la funzione del “bridge asset” liquido, interoperabile e decentralizzato assume una rilevanza crescente. La scommessa di Garlinghouse va dunque letta non come semplice previsione, ma come un tentativo di reimpostare l’egemonia nel dominio della liquidità globale, spostandola dalle mani delle banche a quelle dei protocolli.
La vera domanda, a questo punto, non è se XRP raggiungerà o meno la quota del 14% dei volumi SWIFT. La domanda è se, tra cinque anni, esisterà ancora un’entità dominante che possa essere misurata in quei termini.