Il 29 ottobre 2025, il Federal Open Market Committee ha annunciato una riduzione di 25 punti base del tasso sui federal funds, portandolo nel corridoio 3,75 – 4,00 %, dopo un semestre di immobilismo prudenziale. Il comunicato, asciutto e quasi scolastico nella formulazione, ha chiuso un ciclo di tensione accumulata: la banca centrale statunitense riconosce, di fatto, che l’economia ha assorbito la stretta e che il rischio sistemico ora risiede non nell’inflazione, ma nella stagnazione del credito.
Per i mercati tradizionali, la decisione è apparsa come un atto di continuità nella gestione del rallentamento; per l’universo crypto, invece, il segnale è di altra natura. Non si tratta di semplice “taglio dei tassi”, ma del ritorno di una liquidità marginale — quella che, per definizione, alimenta gli asset privi di rendimento intrinseco. L’intero comparto degli asset digitali vive del differenziale tra liquidità e fiducia: quando il denaro torna a circolare con minore costo opportunità, la propensione al rischio si rialza, e con essa il prezzo del possibile.
Nelle 24 ore successive alla decisione, Bitcoin ha oscillato in area 110–113 mila dollari, con una flessione nell’ordine dell’1,5–3%, Ethereum ha ripiegato marginalmente, mentre Solana è rimasta stabile sopra i 190 dollari (range 190–201). Si tratta di una reazione prudente più che direzionale, coerente con il tono misurato della conferenza di Powell. La capitalizzazione complessiva del comparto è rimasta laterale/debole, senza espansione netta di rischio immediatamente misurabile.
È qui che la riduzione dei tassi assume un significato più profondo: l’asset class digitale smette di presentarsi come “alternativa” e si reintegra, con sorprendente rapidità, nella catena di trasmissione del rischio globale. Gli anni dell’autonomia — quelli in cui le criptovalute sembravano reagire a logiche proprie, quasi immuni ai movimenti macro — appaiono ormai chiusi. Il taglio della Fed, lungi dal rafforzarne l’eccezionalità, ne conferma la normalizzazione: la finanza decentralizzata partecipa oggi della stessa ciclicità che regola i mercati azionari e obbligazionari, oscillando al ritmo del costo del denaro.
Sul piano operativo, le implicazioni sono chiare. Un contesto di tassi reali in discesa tende a:
– sostenere le strategie di rotazione del capitale verso asset ad alta volatilità,
– favorire la domanda di ETF spot come veicoli di esposizione semplificata,
– stimolare nuovi flussi di stablecoin on-chain legati alla liquidità USD.
I volumi su principali venue si sono riattivati nell’immediato, ma senza ancora un cambio di regime; in controluce restano gli update corporate di Coinbase su Q3 (ricavi e volumi in crescita a/a), a conferma di una tendenza di fondo più ampia del singolo evento. Sul fronte ETF, la dinamica dei flussi è risultata eterogenea nelle sedute a cavallo del FOMC, con anche deflussi netti in singole giornate: il segnale andrà letto sulla media settimanale, non sulla singola sessione.
E tuttavia, l’effetto più rilevante è psicologico. Dopo un anno di consolidamento, il mercato riscopre la dipendenza dal contesto macro, e con essa la fragilità strutturale di un settore che, pur avendo aspirato alla disintermediazione, continua a oscillare in funzione delle decisioni di un comitato di dodici persone a Washington. L’illusione di un’economia parallela si dissolve: le crypto tornano a essere, pienamente, una forma di leva sulla liquidità globale.
Non è un male, né un bene: è la misura di una integrazione ormai compiuta. Se il 2021 aveva rappresentato l’euforia speculativa e il 2022 la correzione sistemica, l’autunno 2025 segna la fase di equilibrio: le criptovalute non contestano più la finanza — ne riflettono il battito.