Dopo diverse settimane di incertezze e preoccupazioni per gli operatori del settore, è finalmente giunta conferma che il Governo non intende proporre l’inizialmente ipotizzato incremento dell’aliquota sulle plusvalenze da criptovalute, mantenendola dunque al 26% per il prossimo anno, e rinviando una possibile proposta di aumento al 33% al 2026.
A meno di emendamenti sul punto che possano essere proposti ed approvati dal Parlamento prima che l’iter di approvazione del ddl Bilancio si concluda (per la fine di dicembre, come di consueto), quanto sopra prospettato è ciò che ci si presenta per l’anno a venire.
Nonostante non manchino riflessioni critiche sul quadro complessivo, lo scenario che si apre alla luce di questi emendamenti al ddl Bilancio appare più roseo di quanto in molti non si aspettassero, considerato che le prime proposte di revisione dell’aliquota avevano alimentato un dibattito acceso fra le forze politiche, ed in particolare si era ventilata l’ipotesi di un drastico aumento al 42%.
Una proposta così irragionevole, alla quale fortunatamente non sarà dato corso, era tuttavia la prospettiva più plausibile sino a pochi giorni fa, quando le prime indiscrezioni circa una rivalutazione della medesima sono emerse da fonti vicine al Consiglio dei Ministri.
L’effetto che un aumento di questa portata avrebbe avuto sullo sviluppo del settore crypto nel paese sarebbe stato nientemeno che catastrofico: persino la Banca d’Italia, in occasione di un’audizione parlamentare risalente al 5 novembre, aveva manifestato forti dubbi, paventando che un’aliquota così elevata potesse indurre gli investitori a occultare i propri guadagni o a trasferire le proprie attività verso giurisdizioni estere più favorevoli, con un effetto controproducente per l’economia del paese nella sua globalità.
A fronte di preoccupazioni così pervasive, peraltro manifestate da un ente che ha storicamente assunto posizioni piuttosto ostili nei confronti del mercato delle criptovalute, la scelta più pragmatica è apparsa quella di posticipare un eventuale aumento (più contenuto) dell’aliquota al 2026.
Tuttavia, le pressanti esigenze di incremento del gettito fiscale e contributivo hanno portato l’esecutivo a proporre l’abbattimento della “no tax area” attualmente vigente, tale per cui le plusvalenze da cripto-attività di importo complessivo annuo non superiore a €2000 non sono tassate in alcun modo: si tratta, com’è evidente, di una soluzione di compromesso, la quale si è resa necessaria, almeno sulla carta, per rimandare ulteriormente l’incremento dell’aliquota e non sacrificare eccessivamente le necessità erariali. Anche questa proposta è naturalmente sottoposta, facendo parte del ddl Bilancio, al vaglio del Parlamento, il quale potrebbe apportarvi delle modificazioni o respingerla integralmente, sebbene ciò appaia poco plausibile.
La reazione del mercato, in larga parte positiva, riflette un senso di sollievo per l’assenza di interventi più drastici, ma non mancano, come accennato in apertura, critiche sull’assenza di una visione più di lungo termine: l’aumento previsto per il 2026 potrebbe segnare l’inizio di un generale rialzo delle aliquote sui redditi da capitale, e solleva interrogativi sul posizionamento futuro dell’Italia rispetto ad altre giurisdizioni europee e globali.
In definitiva, la Legge di Bilancio 2025 testimonia l’importanza di un dialogo costruttivo tra istituzioni, forze politiche e operatori di mercato. Pur non rappresentando una soluzione definitiva alle sfide della regolamentazione fiscale delle criptovalute, essa costituisce un passo significativo verso un approccio più bilanciato, capace di coniugare esigenze fiscali e promozione dell’innovazione. Resta da vedere se, e in che misura, queste scelte saranno sufficienti a consolidare la posizione dell’Italia in un contesto internazionale sempre più competitivo e in rapido mutamento.