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BITCOIN DEFI: L’ASCESA DELLA FINANZA PROGRAMMABILE SU BTC

BITCOIN DEFI: L’ASCESA DELLA FINANZA PROGRAMMABILE SU BTC

Nel dibattito odierno sull’evoluzione della finanza decentralizzata, una nuova traiettoria si sta affermando con forza crescente: Bitcoin, da sempre percepito come una riserva di valore passiva, si sta progressivamente riconfigurando come infrastruttura fondativa per l’ecosistema DeFi.

I dati forniti da Arch Network documentano una crescita verticale del Total Value Locked nei protocolli Bitcoin-native: da appena 307 milioni di dollari nel gennaio 2024 si è passati a 6,5 miliardi entro la fine dello stesso anno, fino a toccare i 7,049 miliardi a luglio 2025, con un incremento superiore al 2.100% in diciotto mesi. Questo fenomeno, ben più di una semplice fiammata speculativa, sembra segnalare un mutamento profondo nel paradigma di costruzione della finanza permissionless, in cui la solidità strutturale di Bitcoin, unita all’interesse crescente di sviluppatori e investitori istituzionali, inizia a sovvertire la storica egemonia di Ethereum come layer primario della DeFi.

La narrativa che emerge da questi dati non riguarda soltanto la quantità di valore immobilizzato, ma il significato che tale tendenza riveste nell’economia politica delle criptovalute: Bitcoin, forte della sua immutabilità, del suo status di asset da due trilioni di dollari e della sua liquidità ancora in larga parte dormiente, si propone ora come base computazionale per applicazioni finanziarie programmabili. Tale ambizione non nasce dal nulla, ma è sostenuta da una molteplicità di elementi congiunturali: la proliferazione di nuovi standard token su Bitcoin, l’introduzione di protocolli innovativi, l’adozione di meccanismi di liquid restaking e, soprattutto, il picco storico toccato da BTC stesso, che ha riacceso l’interesse per modalità alternative di valorizzazione del capitale crypto.

In questo scenario, la transizione da Ethereum a Bitcoin non avviene attraverso la sostituzione diretta, ma mediante una lenta sedimentazione di nuove pratiche, un progressivo reindirizzamento dell’attenzione tecnica e un afflusso di utenti che cercano un compromesso tra sicurezza, composability e neutralità dell’infrastruttura.

Secondo Matt Mudano, CEO e co-fondatore di Arch Network, l’idea che Bitcoin debba restare una cassaforte statica rappresenta un fraintendimento di fondo: il vero potenziale di BTC non risiede nella sua inerzia simbolica, bensì nella possibilità concreta di fungere da base per una nuova finanza aperta, trasparente e non custodial.

Non si tratta dunque di emulare Ethereum, ma di costruire qualcosa di differente: una DeFi meno sovrastrutturata, meno dipendente da schemi ad alta leva o da algoritmi opachi, più orientata alla collateralizzazione solida e all’interazione peer-to-peer. È in questo contesto che il 55% degli utenti Bitcoin DeFi dichiara di partecipare a protocolli di lending e borrowing, il 51% a DEX e il 40% a progetti legati a stablecoin. La topologia degli utenti rivela inoltre una concentrazione geografica in Asia (61%) e Africa (17%), a dimostrazione di un’adozione spesso trainata da bisogni infrastrutturali concreti più che da mode finanziarie.

Resta tuttavia un insieme consistente di ostacoli: per il 43% degli intervistati, l’impossibilità di implementare smart contract complessi su Bitcoin rappresenta ancora il limite principale, a cui si aggiungono carenze negli strumenti per sviluppatori (22%), scarsa documentazione (15%) e bassa componibilità (16%). Il risultato è una curva di adozione ancora lenta, sebbene non per mancanza di interesse: solo l’11% degli utenti dichiara di non intravedere benefici evidenti nell’uso di BTC nella DeFi, mentre il resto segnala ostacoli che appaiono risolvibili. Il 45% chiede un’infrastruttura più matura, il 43% punta sulla diffusione dei Layer 2, e già oggi progetti come ArchVM consentono di scrivere codice eseguibile su Bitcoin senza passare per il wrapping o per ponti cross-chain, segnando un netto avanzamento rispetto ai limiti tecnici precedenti.

Anche sul versante dello sviluppo si registra una tensione interessante: oltre il 60% dei developer Bitcoin DeFi lavora attualmente anche su Ethereum, Solana o Base, attratti dalla loro maggiore flessibilità e dall’ecosistema già consolidato. Tuttavia, quasi la metà di questi dichiara di voler migrare completamente su Bitcoin non appena le condizioni tecniche lo permetteranno. La loro attrazione per Bitcoin risiede non solo nella sicurezza e decentralizzazione (44%), ma anche nella prospettiva di ecosistemi in espansione (27%), nella visione di lungo termine e nella resistenza alla censura. Il dato è eloquente: Bitcoin non è ancora pronto a reggere l’intero peso dell’innovazione DeFi, ma l’interesse a convergere verso di esso come base neutra e resistente è ormai difficilmente reversibile.

L’impressione complessiva è quella di un ribaltamento lento ma inesorabile delle gerarchie della DeFi: Ethereum continuerà a dominare per composability e ricchezza dell’ecosistema, ma Bitcoin sta preparando il terreno per un’infrastruttura meno brillante ma più affidabile, meno sofisticata ma più resistente. Se il 2021 è stato l’anno dei rendimenti a doppia cifra sulle piattaforme EVM, il biennio 2024–2025 potrebbe essere ricordato come il momento in cui la finanza decentralizzata ha riscoperto il valore della solidità.

E in questo quadro, Bitcoin cessa di essere l’oggetto di una speculazione e torna a essere — forse per la prima volta in modo pieno — la base di una costruzione.